José Antonio Martínez Sampedro
All’insegna delle azioni di Coca-Cola, Winston o Marlboro, e di fronte alle difficoltà crescenti del mercato di preferenze associative, Facomare decide di lanciare una nuova versione del suo straconosciuto marchio, più leggero, soffice ed edulcorato, la FACOMARE LIGHT.
Questa sarebbe la sintesi –la mia sintesi- sul tavolo di dibattito a cui, grazie all’invito di Taular Editori, ho partecipato come ospite e nella quale si sono scambiate delle opinioni tra diversi professionisti del settore ed i principali genitori della creatura.
Non intendo riportare l’informazione di tale dibattito in concorrenza con i professionisti che in queste medesime pagine avranno quella onorevole mission e con cui ho condiviso una posizione attenta e silenziosa. Non voglio però che dalla responsabilità professionale che penso di avere nell’ambito della nostra attività, venga applicato su di me l’adagio: “Chi tace, consente”. Per cui, voglio esprimere la mia opinione personale sullo stato del settore, il ruolo di questo nuovo Facomare ed il futuro per cui penso che valga la pena il sacrificio.
Per poter fare una diagnosi sulla situazione in cui si trova il settore, penso che sia inevitabile guardare indietro, al periodo precedente alla depenalizzazione del gioco nell’anno 77. Quello dell’intrattenimento era un settore piccolo in quegli anni 60 e 70, in cui la sopravvivenza ci chiedeva la calma di lunghe giornate di lavoro e grandi dosi di immaginazione. La professionalità tecnica (apparecchi operativi), la professionalità commerciale (introduzione nella ristorazione di macchine che piacessero, rottamazione dei modelli) non erano a portata di mano di qualunque persona, e infatti vagliarono un settore di uomini svegli e soprattutto di grandi lavoratori. Era questo settore che ben avrebbe potuto essere definito come di sfruttamento di giocheria azionata da monete, che operava senza alcun problema legale (attraverso un semplice permesso di installazione), nonostante fosse privo di un quadro giuridico e che quando venne depenalizzato il gioco, subì una delle sue crisi ricorrenti, con le macchine video, quello a ricevere, senza capirlo nel suo complesso, la possibilità di amministrare il gioco, attraverso l’allestimento di apparecchi con premi, nel più grande settore di ristorazione al mondo.
Il problema che non si è potuto o non si è voluto vedere è che il mercato che sembrava colossale per le sue redditività e dimensioni modificava da un punto di vista aziendale le condizioni che ‘di facto’ avevano filtrato la professionalità degli uomini dell’intrattenimento, così come venivano aggiunti nuovi fattori nel gestire apparecchi con premi ed entrare in effetti nel business dei giochi d’azzardo.
Le garanzie e le condizioni che hanno dovuto esistere per poter gestire in modo professionale l’attività sono state omesse, si produce il peccato originale, e di conseguenza appare l’abbondanza, il boom del settore, il pane senza limiti per oggi ed il “si vedrà” per domani. I soldi facili, dobbiamo dire così, attragono persone di tutti i tipi, le acque del fiume diventano mosse, però non c’è alcuna paura, abbiamo piena libertà… finchè non verranno eretti i limiti. La nostra cecità ha avuto un subito svegliarsi quando sull’orlo dell’abisso, ROSÓN decide che è giunta l’ora di smettere di gettare benzina su un fuoco che minacciava di scoppiare con violenza.
È allora quando nel parossismo dell’estinzione, il settore trasformato in una vera e propria Torre di Babele, propone in tutti i modi possibili e nel suo ambito di azione, la battaglia giuridica e meravigliosamente incassa, se non una vera e propria vittoria, una serie di concessioni parziali che sbloccano l’attività e che dovrebbero finire in un nuovo regolamento che è stato per approvarsi parecchie volte, però che, per diversi motivi, si è sempre reso vano.
In questo percorso, le associazioni emergono con la sua vera natura, quella di PIATTAFORME DI CONVERGENZA per la difesa degli interessi in comune, di fronte a tutti i tipi di minacce e rischi.
Andemar nasce per difendere la tolleranza di apparecchi privi di regolamento, che erano però sostenuti dalla recente depenalizzazione del gioco; in contemporanea, i suoi promotori, quasi tutti distributori, iniziano a soppesare la possibilità di agire come un gruppo di acquisto: la reazione dei produttori, fino a quel momento integrati più o meno in modo formale in Andemar, è Facomare; già in quel momento si parla dell’Unità e fallisce per un pretesto di percentuali che nasconde la dura realtà di interessi opposti. Il percorso delle associazioni da allora è un convergere-divergere nell’interpretazione dei diversi problemi che emergono: ostacolare lo sbarco dei capitali stranieri, regolamento provvisorio, regolamento “definitivo”, decreto di Rosón, scambio, ricambio, NUOVO REGOLAMENTO.
Nel frattempo, il problema è stato il progressivo degrado della qualità professionale dei membri della filiera di fronte all’omertà dei suoi membri originali e la passività dell’amministrazione.
Non hanno sbagliato gli attori impegnati nell’espansione delle condizioni dell’intrattenimento originale al settore degli apparecchi con premio. Le macchine con premio comportano nuove responsabilità per i loro amministratori, responsabilità di fronte agli utenti, di trasparenza nello svolgimento del gioco e nell’amministrazione dei premi: responsabilità di fronte alla società, ed alla stessa Amministrazione, per quanto riguarda il suo uso da parte dei minorenni e riguardo al versamento delle tasse che giustifichino la concorrenza con i giochi monopolizzati dallo Stato.
E tutto ciò punta su un senso chiaramente opposto a quello intrapreso. La garanzia di professionalità nell’intrattenimento, ce la davano le leggi del mercato. Solo le persone più decise ed i più grandi lavoratori sono soppravissuti, però nel gioco accade proprio il contrario, le mancate garanzie precedenti sono prevalse rispetto alla clandestinità, il frode e l’economia sommersa. Il risultato è non solo un mercato altamente degradato, ma anche la perdita della dignità professionale. La nostra immagine è logicamente quella della maggioranza quantitativa, e questa qui oggi non è composta dai vecchi o nuovi professionisti, ma dagli speculatori e gli opportunisti che hanno ricorso al denaro facile e che sotto il loro ombrello progrediscono, chiedendo, come no, di protrarre sine die lo status quo e la protezione dei diritti acquisiti.
In questa situazione è ovvio che all’interno della nostra attività coesistono punti di vista molto diversi su che cosa siamo e che cosa vogliamo diventare e la mia prima conclusione è che l’UNITÀ è un’utopia assolutamente insostenibile, nella quale è ridicolo proseguire con il logoramento, sono strapatetiche le figuraccie che hanno fatto e quelle che sembra che faranno ancora.
L’alternativa è il chiarimento; con il parco di macchine praticamente censito, è già possibile individuare il peso specifico di tutti quanti. Sappiamo ormai chi è chi. Il prossimo passo deve essere la definizione del modello del settore su cui ciascuno punta.
La mia posizione in questo senso è chiara: professionalizzazione di tutte le persone che intervengono su tutti i livelli in cui si svolge un’attività di gioco e restabilimento delle garanzie che significhino, da parte dei gestori, un impegno adatto al livello di responsabilità che ciò comporta, amministrativa, fiscale e socialmente.
Sinceramente penso che, oltre ad essere ipocrita, è qualcosa di suicida mantenere, con giustificazioni esclusivamente demagogiche, le condizioni che finora consentono di proclamarsi praticamente a tutti quanti come produttori, distributori od operatori di apparecchi da intrattenimento con premio.
Non abbiamo più margine di reazione per scrollare le spalle di fronte alla clandestinità e all’evasione fiscale. Alla fine tutto ciò si traduce in un pressing di mercato, che ci mette sui corni di un dilemma. Dobbiamo scegliere, i tempi eroici e di grandi guadagni sono ormai cosa dal passato e, secondo me, la scelta su cui dobbiamo puntare è un modello di settore che ottenga il rispetto sociale, non solo per il peso economico e nell’ambito del lavoro (imposte + posti di lavoro), ma anche perché venga incluso in un quadro normativo pronto a fissare i limiti senza discussione della professionalità e gli impegni.
Il nostro futuro è legato alla nostra capacità di renderci consapevoli di che cosa siamo e che cosa vogliamo diventare. Se intendiamo raggiungere un riconoscimento aziendale, il nostro problema non è il nome che ci identifica, il nostro problema è che la nostra attività possa diventare professionale e raggiunga un elevato livello di trasparenza, ed è questo il prezzo che dobbiamo essere pronti a pagare. Penso, e forse sbaglierò, che a Facomare, se si renuncia alla tentazione luminosa del modello light, e viene assunto il ruolo che viene riconosciuto ad un’associazione aziendale sul piano sociale e legale, senza alcun complesso, abbiamo un’occasione storica di rivendicare un protagonismo capace di modificare il nostro mondo, come risultato di una coerenza interna, in opposizione al resto del panorama associativo, che è in mezzo ad un dibattito bizantino sulla mitologica unità, evitando di guardarsi allo specchio per non vedere come si riflettono le loro proprie contradizioni.
(1 settembre 1985)
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