Distanze, un altro mito sfatato

Madrid, 3 maggio 2022 In alcuni dei mercati in cui operiamo, principalmente quelli europei, in merito alla nostra attività circolano miti infondati, diffusi in modo opportunistico da una parte dell’opinione pubblica, che vengono smentiti dalla testimonianza dei diversi studi sul settore.

Una di queste false credenze è quella relativa alla pianificazione dei locali da gioco, che accusa gli operatori di stabilirsi in quartieri periferici per approfittare della vulnerabilità dei clienti, o di trovarsi vicino alle scuole per attirare i minori, chiedendo quindi una distanza tra i locali, e una distanza di questi rispetto ai cosiddetti “luoghi sensibili”.

Ma la distanza è decisiva nella protezione dei gruppi vulnerabili? No. Lo dimostrano diversi studi effettuati in Italia e in Spagna, lasciando cadere un nuovo mito.

L’ultimo di questi studi è quello presentato il 24 marzo alla Pontificia Università della Santa Croce a Roma, “Il contrasto dei rischi derivati ​​dai disturbi del gioco“, realizzato da BWA DOXA, una delle più prestigiose società di ricerca e consulenza.

I risultati rivelano che la distanza non è un elemento di difesa dal gioco problematico. Una conclusione che rafforza la necessità di riorganizzare il settore per non continuare a danneggiare gli operatori legali e lasciare spazio al proliferare del gioco illegale.

A presentare i risultati sono state le dottoresse Sonia Biondi e Roberta Belli, accompagnate da diversi esponenti istituzionali, come Federico Freni, sottosegretario al MEF con delega ai giochi; il senatore Marino, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle anomalie del gioco illegale e del gioco pubblico; e Marcello Minenna, direttore di ADM, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.

La restrizione non basata sulla realtà incoraggia il gioco illegale

I risultati dell’indagine sono devastanti: il divieto incoraggia il gioco illegale e riduce il controllo sui giocatori problematici

Federico Freni, sottosegretario di Stato all’Economia e alle Finanze, ha ricordato anche una delle richieste ricorrenti del settore, l’elaborazione di un regolamento stabile che offra garanzie legali. E ha evidenziato l’importanza che gli operatori e lo Stato collaborino nella lotta al gioco illegale, a tutela dei cittadini.

“I risultati di questo studio derivano dalla discussione con gli stakeholder. La stratificazione normativa è uno dei fattori che genera maggiore incertezza, essendo potenzialmente devastante per il settore e per lo Stato.  È necessario tutelare gli interessi pubblici derivanti da un’industria che in Italia ha 300 concessionari, 6.600 imprese e dà lavoro a circa 150.000 persone. Qualsiasi divieto radicale favorisce l’illegalità, con un aumento dei giocatori illegali e quindi un minor controllo sui problematici”, ha spiegato Freni. Inoltre, la chiusura dei locali durante la pandemia ha confermato che a minor presenza di gioco legale corrisponde una maggior presenza di gioco illegale.

Regolamentare su false premesse

Lo studio rivela anche che l’opinione pubblica ha un’immagine distorta dei giocatori, confondendo i giocatori sociali con persone con comportamenti problematici.

Ciò ha incoraggiato lo sviluppo di restrizioni indiscriminate, invece di misure specifiche focalizzate sulle persone a rischio di patologia.

A loro volta, i dipendenti degli operatori di gioco sottolineano il danno che subiscono a causa di un’opinione pubblica sfavorevole, che non riconosce le ulteriori difficoltà che il settore ha attraversato dutante dopo la pandemia.

Le distanze scoraggiano solo il cliente che gioca per divertirsi

Lo studio sottolinea inoltre che le distanze scoraggiono di più il giocatore sociale che quello problematico, mettendo a rischio la sopravvivenza degli operatori legali, con effetti negativi sull’occupazione, sui giocatori e sulle casse pubbliche.

L’Italia sta già facendo passi indietro in merito alle distanze e sta chiedendo una maggiore tutela per il gioco legale. Ci si è resi conto che le norme proibizioniste contro gli operatori legali, non fondate sulla realtà dell’industria, lungi dal risolvere i problemi per i quali sono state stabilite, ne generano di nuovi.

Speriamo che il suo esempio serva a far sì che il dibattito in altri mercati non si concentri più sulle distanze, ma si concentri sulla ricerca di soluzioni realmente efficaci per proteggere le categorie vulnerabili.